Industria farmaceutica crea ammalati

Forse siamo sani e non lo sappiamo. Dico così perché l’industria farmaceutica ha così allargato i confini delle patologie da fare della salute una condizione che nessuno riesce più a raggiungere.

Eventi normali della vita di tutti noi – la nascita, la gravidanza, il parto, o la menopausa, l’invecchiamento -, come pure molti comportamenti comuni, le piccole difficoltà della vita di tutti i giorni, sono sistematicamente presentati come stati patologici.

Knoch era il nuovo medico condotto di Saint Maurice, un villaggio di montagna svizzero. Il suo predecessore, nel dare le indicazioni sul nuovo lavoro che Knoch si apprestava ad iniziare, cercava di confortare il suo successore assicurandogli che tutti gli abitanti godevano di buona salute, e non andavano mai a farsi visitare: ma Knoch aveva altre ambizioni, e per attirare nel suo studio gli abitanti di Saint Maurice convince il maestro del paese a tenere qualche conferenza sui pericoli rappresentati dai microrganismi, assolda il banditore del paese per pubblicizzare una visita gratuita (di screening, diremmo oggi). Così il suo ambulatorio si affolla e poco alla volta tutti gli abitanti diventano malati. Tutto il paese in breve si trasforma in un ospedale, e rimangono sani solo quelli che devono accudire i malati.

Il dramma in tre atti Knoch o il trionfo della medicina di Julies Romains è stato rappresentato per la prima volta a Parigi nel 1923, eppure è attualissimo perché questa tragicomica rappresentazione della medicina è diventata realtà nella nostra vita di oggi, è un modello di quello che la libera iniziativa ed il libero mercato sono riusciti a fare della nostra salute:” una persona sana è soltanto un malato che non sa ancora di esserlo.”

Oggi non ci sono più medici di campagna senza scrupoli che controllano le camere da letto dei malati, ma è entrato in scena un potere molto più abile nel far perdere la salute alla gente: la medicina moderna.

Associazioni mediche e case farmaceutiche, spesso sostenute da associazioni di pazienti, cercano di far nascere in noi la fiducia per una medicina che non riconosce più l’esistenza di persone sane.

Per poter mantenere inalterata l’enorme crescita avuta negli anni passati, l’industria della salute deve prescrivere sempre più spesso farmaci a persone sane.

L’industria farmaceutica in Italia vale circa 20 miliardi di dollari, 240 negli USA, 550 nel mondo intero, negli Stati Uniti è cresciuta del 225% negli ultimi 15 anni, in Gran Bretagna del 144%, in Italia del 35.

Da circa 2 decenni questa industria è la più redditizia degli Stati Uniti e quindi del mondo intero.

A spingerla è un marketing aggressivo che ha imparato a vendere farmaci come se fossero detersivi ed a considerare i pazienti alla stregua di clienti.

Dal connubio tra industria farmaceutica e libero mercato deriva l’anomalia dei venditori di malattia.

Una trentina di anni fa, il direttore della Merck, Henry Gadsden, dichiarò in una intervista alla rivista Fortune che il suo cruccio maggiore era il fatto che il potenziale mercato della sua società fosse limitato alla gente malata. Avrebbe preferito che Merck diventasse una sorta di Wrigley – produttore e distributore di gomma da masticare. Gadsden manifestò il suo sogno: produrre medicinali destinati alle persone sane. Perché allora la Merck avrebbe avuto la possibilità di «vendere a tutti». Trent’anni dopo, il sogno del defunto Henri Gadsden è realtà.

Ricompensati, come è giusto, quando salvano vite umane e riducono le sofferenze, i giganti farmaceutici non si accontentano più di vendere a coloro che ne hanno bisogno. Per la buona e semplice ragione, ben nota a Wall Street, che dire ai sani che sono malati produce grossi guadagni.

Nel momento in cui la maggior parte degli abitanti dei paesi sviluppati gode di una vita più lunga, più sana e dinamica di quella dei loro nonni, il rullo compressore delle campagne pubblicitarie o di sensibilizzazione trasforma gente sana, preoccupata per la propria salute, in gente malaticcia, preoccupata e basta.

Le strategie di marketing delle più grandi ditte farmaceutiche prendono massicciamente di mira le persone in buona salute. Queste campagne promozionali sono quasi sempre basate su un messaggio che suscita paura: si sfruttano le nostre paure più profonde: la morte, il degrado fisico e la malattia per cambiare il nostro concetto di salute, la nostra idea della vita.

Gli inventori di malattie guadagnano denaro alle spalle di persone sane alle quali fanno credere di essere malate. Ci dicono che possiamo soffrire di fobia nei confronti degli altri, di jet lag, di dipendenza da internet, di eccedenza di peso, di fibromialgia, di sindrome da affaticamento cronico. E chi ha il naso adunco, gli occhi sporgenti, le orecchie a sventola o le gambe storte, le rughe, pochi capelli o poco o troppo seno, può sempre ricorrere alla chirurgia estetica:si fanno ogni anno anche nel nostro paese circa 500.000 interventi di questo tipo, operando su corpi sani.

Piccoli problemi sono descritti come patologie gravi, sicché la timidezza diventa un «disturbo di ansietà sociale» e la tensione premestruale una malattia mentale definita «disturbo disforico premestruale».Il naturale cambiamento dell’organismo è una malattia da deficienza ormonale chiamata menopausa, mentre gli impiegati distratti possono essere affetti da una forma adulta del Disturbo da deficit di attenzione (non ne sono affetti solo i bambini). Chi non ha avuto qualche volta la sindrome delle gambe stanche?
Il semplice fatto di essere un soggetto «a rischio» di una patologia, diventa di per sé una malattia, per cui donne di mezza età sane oggi soffrono di un male latente alle ossa chiamato osteoporosi, e uomini di mezza età in piena forma hanno un disturbo cronica chiamato colesterolo alto, oppure sono affetti da ipertensione arteriosa.. Ma è il sesso la terra di conquista più ghiotta per i venditori delle malattie. Il Viagra nasce come medicina per i problemi di disfunzione erettile legati a patologie come il diabete. Una campagna pubblicitaria mirata lo ha trasformato in una generica pillola per migliorare le performance sessuali.

Il fulcro di questo tipo di vendita si trova negli Stati Uniti, terra di accoglienza di numerose multinazionali farmaceutiche. Pur contando meno del 5% della popolazione mondiale, questo paese rappresenta già quasi il 50% del mercato della prescrizione di medicinali. Le spese sanitarie continuano a salire più che in qualsiasi altro posto al mondo, mostrando un aumento di quasi il 100% in sei anni – e questo, non solo perché i prezzi dei medicinali registrano drastici aumenti, ma anche perché i medici ne prescrivono sempre di più.

C’è una pillola per ogni malattia, o meglio per ogni nuova pillola c’è anche una nuova malattia. In inglese questo fenomeno ha già il suo nome: mongering desease, fare affari con le malattie.

Si fa della salute una condizione che nessuno può più sperare di avere.

Esistono agenzie pubblicitarie specializzate proprio in questo settore:nella vendita non solo di farmaci (è legittimo), ma di malattie. Dal suo ufficio nel centro di Manhattan, Vince Parry , esperto di pubblicità, si adopera, di concerto con le imprese farmaceutiche, a creare nuove malattie. In un articolo sconcertante dal titolo «L’arte di fabbricare una malattia», Parry ha recentemente rivelato gli espedienti utilizzati da queste imprese per «favorire la creazione» di patologie mediche.

“A volte si tratta di uno stato di salute poco conosciuto che gode di una rinnovata attenzione; altre volte si ridefinisce una malattia conosciuta da tempo dandole un altro nome; in altri casi si parla di una nuova disfunzione creata dal nulla.”
Sotto la guida dei responsabili di marketing dell’industria farmaceutica, medici specialisti e guru come Perry siedono attorno a un tavolo per «trovare nuove idee in relazione a malattie e stati di salute».

Lo scopo è fare in modo che i clienti delle imprese nel mondo intero recepiscano le cose in modo nuovo, abbiano un’idea diversa della salute.

L’obiettivo è sempre quello di stabilire un legame tra stato di salute e farmaco, in maniera da ottimizzare le vendite.

Alcuni farmacologi australiani hanno descritto 5 tipi di invenzioni di malattie.

1–Normali processi vitali sono spacciati per problemi medici

prendiamo il caso della caduta dei capelli. Quando la Merck ha scoperto un rimedio efficace contro la caduta dei capelli, l’agenzia di pubbliche relazioni Edelman – un’ agenzia che opera a livello internazionale- ha lanciato una campagna pubblicitaria.

Ha fornito ai giornalisti i risultati di svariate ricerche, e poco dopo è diventato di dominio pubblico la notizia che in tutto il mondo un terzo degli uomini avevano il problema della caduta dei capelli. È stato poi detto che un istituto internazionale di tricologia aveva scoperto che la caduta dei capelli causa panico, problemi emotivi alle persone che ne sono affette, e riduceva per esse la possibilità di ottenere un posto di lavoro se avessero affrontato un colloquio per una eventuale assunzione.

Non veniva detto però che l’istituto suddetto era finanziato dalla merck e che la Edelman aveva sotto contratto gli esperti che avevano fornito ai giornalisti le notizie riportate.

“Ridammi la mia giovinezza” diceva il Faust di Goethe. Ed ecco che è stato fatto un nuovo patto con il diavolo: un’alleanza tra medici, industrie farmaceutiche e pazienti fa sognare il corpo perfetto.

Farmaci per la gioia di vivere vengono consumati da persone sane che vogliono stare meglio di quanto già non stiano. Il numero di questi prodotti è in continuo aumento:abbiamo preparati per migliorare il metabolismo del cervello (i cosiddetti nootropi), gli psicofarmaci, gli ormoni, i preparati a base di vitamina A, o anche la tossina di un batterio, il botulino, i quali servono a migliorare la salute e l’aspetto fisico di consumatori che cercano di stare sempre meglio.

2–Problemi di tipo personale o sociale vengono spacciati per problemi medici

In psichiatria la trasformazione di una persona sana in un malato riesce particolarmente bene. Nel corso dell’ultimo decennio molti di noi hanno sentito dire ripetutamente che fino ad un terzo della popolazione soffre di malattie mentali. La fonte di tale cifra era un’indagine condotta sugli americani negli anni 90, secondo cui ogni anno il 30% delle persone accusava un disturbo mentale. Tale cifra può sembrare così assurdamente alta da apparire ridicola, eppure è stata ampiamente citata in tutto il mondo, in tutte le campagne promozionali di farmaci per il Sistema Nervoso, e ha contribuito a formare l’impressione che ci siano milioni e milioni di persone lasciate senza diagnosi e cura.

Come si fa a distinguere un matto da una persona sana? Nel 1968 David Rosenhan, docente di psicologia alla Stanford University della California, ha provato a capire come si poteva fare ed ha condotto un esperimento sulla propria pelle.

Per qualche giorno non si è lavato la faccia ed i denti, si è fatto crescere la barba, ha indossato abiti sporchi, ed ha poi fissato un appuntamento presso una clinica psichiatrica, dicendo ai medici del reparto che gli era parso di sentire, a più riprese, delle voci. Non era riuscito a capire cosa gli dicessero di preciso, ma gli era sembrato che avessero un suono vago, cupo, cavernoso.

Il motivo per cui Rosenhan aveva descritto proprio quei sintomi stava nel fatto che in tutta la letteratura clinica non è descritto un solo caso di psicosi che corrisponda ad essi. Comunque dal momento del suo ricovero il ricercatore si è comportato in maniera del tutto normale. Passava il tempo chiacchierando con gli altri pazienti, col personale, ed aspettava gli eventi.

Negli anni successivi l’esperimento è stato ripetuto più volte. Rosenhan ed altri 7 ricercatori, tutti mentalmente sani, si sono fatti ricoverare sotto falso nome e con gli stessi sintomi in 12 cliniche diverse. Le regole su cui era basato questo esperimento prevedevano che i finti pazienti non ricorressero a nessun aiuto esterno per farsi dimettere, durante la degenza si comportavano da persone normali e servizievoli, si attenevano alle norme della vita ospedaliera, fingendo di assumere gli psicofarmaci prescritti.

Nessuno dei finti malati è stato smascherato, ciascuno è stato trattenuto mediamente per 3 settimane e poi dimesso con una diagnosi psichiatrica, il più delle volte “schizofrenia in remissione”.

David Rosenhan ha preso in gito un’altra volta l’estabilishment medico, ricorrendo ad una controprova. Ha fatto sapere ai medici di una clinica psichiatrica che nel giro di 3 mesi avrebbe inviato loro dei finti malati. In realtà però le persone che aveva fatto ricoverare erano davvero persone con disturbi psichiatrici: ebbene il 10% di quelle persone non fu accettato, con la motivazione che si trattava di persone sane.

Quando, nel 1973, la rivista Science ha pubblicato un servizio su questi esperimenti, la credibilità della psichiatria ha subito un duro colpo.

In base a quali criteri si stabilisce se una persona è sana o malata?

Parecchi psichiatri, con le loro diagnosi, giungono a sostenere che tutti soffriamo di qualche disturbo psichico. Il numero di queste malattie, ufficialmente riconosciute negli Stati uniti è passato da 26 (fine della seconda guerra mondiale) a 395 secondo il DSM-IV (diagnostic and statistic Manual of mental disordes)

Oggi una nuova malattia, una nuova epidemia va diffondendosi soprattutto tra i bambini, anche se non risparmia né genitori, né nonni.

ADHD

Il “fenomeno ADHD” pare aver colpito in misura esponenziale l’1%, poi il 3%, poi il 5% ed ora potenzialmente fino al 20% della popolazione scolastica (vedi circolari 2002 delle ASL, a seguito delle quali sono stati avviati i progetti pilota di screening sistematico in oltre cinquanta scuole italiane). Numerosa è la letteratura scientifica anche internazionale che prende le distanze da questa “epidemia”. Tra gli stessi addetti ai lavori favorevoli alla soluzione farmacologica non esiste alcuna uniformità statistica.

Il disagio del comportamento denominato “ADHD” è una “costellazione aspecifica di sintomi”, ovvero un “campanello d’allarme” che evidenzia che qualcosa non funziona, che l’equilibrio del bambino è entrato in crisi. Ma questi sono appunto sintomi: i veri motivi che stanno alla base del disagio possono essere moltissimi, ed “etichettarli” tutti indifferentemente sotto la dicitura “ADHD” è scientificamente superficiale e molto poco serio.

L’introduzione di una nuova malattia nel DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, il testo di riferimento per tutto il mondo psichiatrico occidentale) non richiede prove scientifiche, ma si basa sul parere degli esperti, che esprimono il proprio parere e votano in occasione dei periodici congressi internazionali di psichiatria: un sistema certamente democratico, ma che nulla ha a che vedere con l’approccio scientifico. La cosiddetta sindrome da iperattività è stata identificata e codificata proprio con questo metodo, in un certo senso “riscoperta” negli anni ’80, data a partire dalla quale, pur senza che venisse scoperto alcun nuovo test per la diagnosi del “disturbo”, i giovani soggetti “malati” hanno iniziato a moltiplicarsi esponenzialmente. Molto più restrittiva è la “griglia” del testo di riferimento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che prevede la diagnosi da ADHD, ma solo qualora dal disturbo derivi una situazione cronicamente invalidante per il bambino, o rischiosa per se e per gli altri. Questi clausole restrittive della diagnosi, fondamentali per evitare abusi, “spariscono” dal DSM, anzi, gli psichiatri zitti zitti sono andati ampliando la definizione di disturbo da deficit attentivo, includendo così sempre più bambini ed adulti, ed espandendo in questo modo il bacino di potenziali pazienti.

Non esiste alcuno strumento psicodiagnostico serio per perfezionare la diagnosi: nel DSM ci sono due liste di comportamenti o atteggiamenti, ed è sufficiente che chiunque – compilando le apposite liste mentre osserva il bambino – dia almeno sei risposte affermative su nove. Ecco alcune domande (riferite anche a bambini nella fascia due -otto anni):

* “muove spesso le mani o i piedi o si agita sul sedile?”
* “è distratto facilmente da stimoli esterni?”
* “ha difficoltà a giocare quietamente?”
* “spesso chiacchiera troppo?”
* “spesso dà le risposte prima che abbiate finito di fare la domanda?”
* “spesso sembra non ascoltare quanto gli viene detto?”
* “spesso interrompe o si comporta in modo invadente verso gli altri; per es. irrompe nei giochi degli altri bambini?”

Si tratta di sintomi di malattia o piuttosto di una serie di comportamenti che danno sui nervi agli adulti, o per lo meni ad alcuni di essi? Si noti l’assenza di scientificità di criteri come “spesso” e “frequentemente”! Negli Stati Uniti la diagnosi viene perfezionata in 15 minuti circa, a volte senza neppure visitare il bambino; in Italia la diagnosi “viene perfezionata in circa 4 ore, raccogliendo informazioni dai genitori e dagli insegnanti.

È incontestabile che ci sono bambini con sintomi acuti e debilitanti di iper-attività, mancanza di attenzione ed impulsività, ma, come per la depressione, non è scientificamente provato se queste difficoltà siano dovute soprattutto a problemi biologici e chimici nel cervello, o siano il risultato di una complessa interazione di fattori fisici, sociali, culturali ed economici.

Alcuni hanno affermato che l’ADHD è “un vero e proprio disturbo di natura neurobiologica”, ma non vi è alcuna prova scientifica di tale natura. Le prove biologiche consistono di test oggettivi e ripetibili che associano una qualche alterazione comportamentale a precise alterazioni organiche rilevabili attraverso esami (sul sangue, urine, TAC, etc.). Nulla di ciò esiste in relazione all’ADHD. Nella scienza prima si prova qualcosa e poi lo si afferma, non il contrario: altrimenti restiamo nel campo delle opinioni.

E’ stato detto che l’ADHD “è un disturbo eterogeneo e complesso, multifattoriale – nell’80% dei casi di natura genetica -, associato con altri disturbi nel 70% dei casi”. Queste sono pure affermazioni di fede. Attendiamo di esaminare le prove delle alterazioni genetiche o qualsiasi altra prova biologica reale. La scienza, da Galileo in poi, procede in altro modo.

Il trattamento di questa “sindrome” consiste principalmente nella somministrazione di uno specifico psicofarmaco, il metilfenidato, il Ritalin. Se si pensa al DDA, si pensa immediatamente ad un medicinale. Si è creato, coscientemente un legame inscindibile tra malattia e farmaco. Questo è un esempio eclatante della potenza del marketing dell’industria del farmaco. La produzione del Ritalin è aumentata dal 1990 al 2003 dell’800%. Con questa logica il bambino viene “addestrato” a risolvere i problemi della sua vita con una pastiglia. Tralasciando la circostanza che la FDA (Food and Drug Administration, l’organismo sanitario di vigilanza in USA) ha registrato negli ultimi dieci anni 2.993 diverse reazioni avverse a questo farmaco, il numero di bambini diagnosticati come affetti da ADHD, trattati con metilfenidato e divenuti tossicodipendenti da adulti è significativamente superiore a quello dei bambini che – pur avendo ricevuto diagnosi di ADHD – non sono stati trattati poiché le loro famiglie non credevano nell’opportunità di una cura psico-farmacologica per i propri figli. Inoltre occorrerebbe ricordare il numero di bambini morti durante la somministrazione del metilfenidato, o di altri psicofarmaci – oltre 160 casi documentati nei soli Stati Uniti -.

Quanto è grande l’interesse che si cela dietro l’ADHD?

E’ facile rispondere a questa domanda, con quasi 11milioni di giovani “consumatori” convinti o forzati ad assumere psicofarmaci nei soli USA: stiamo parlando di un mercato annuo che supera i 6 miliardi di euro ed in continua crescita, e di qui l’interesse a convincere la cittadinanza ed i politici attraverso campagne di marketing ben perfezionate. Come ricorda l’Osservatorio Italiano sulla Salute Mentale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha affermato che “nel 2020 circa la metà dei bambini nel mondo sarà affetto da malattie mentali”. Traducendo questo dato in miliardi di euro di fatturato, ben si comprende come sia difficile promuovere una politica per la salute mentale senza fare i conti con la somministrazione di psicofarmaci. Sconcerta piuttosto osservare come nessuno sia apparentemente in grado di fermare la medicalizzazione di massa, e che si debba creare un movimento d’opinione popolare per costringere le istituzioni a fare ciò che sarebbe in loro dovere fare spontaneamente. In Italia non esistono ancora iniziative legislative a tutela del diritto alla salute di bambini ed adolescenti, ovvero atte a tutelate questi soggetti – giuridicamente incapaci di esprimere la propria volontà – dalle somministrazioni arbitrarie ed incontrollate di psicofarmaci, anzi, in Italia, proprio in questi giorni, è stato autorizzato al commercio il Ritalin, lo Strattera (la cui molecola base è l’atomoxetina, contestatissima in USA) ed il Prozac per i bambini con segni di depressione.

Vediamo procedere ed affermarsi un’allarmante cultura della medicalizzazione del disagio dell’infanzia.

3—I rischi vengono fatti passare per malattie.

Possiamo prendere l’esempio dell’osteoporosi, dell’ipertensione, o del colesterolo alto.

Guaritori ambulanti vanno in giro per le nostre città. Arrivano a bordo di furgoni, di camion, di belle macchine lucenti e non chiedono soldi, ma fanno salire sul loro veicolo le persone che si trovano in piazza e fanno loro un bel check-up. Scese dall’auto, parecchie di quelle persone scoprono di essere diventate dei pazienti. Molte donne con più di 60 anni di età sono invitate a salire a bordo di uno di quei bianchi automezzi “per la ricerca dell’osteoporosi” per sottoporsi ad una approfondita visita preventiva, comprensiva della misurazione della compattezza ossea. Così si possono scoprire le donne che soffrono di riduzione della massa ossea provocata dall’invecchiamento: la cosi detta osteoporosi. Altri automezzi, altri veicoli possono essere dedicati a misurare la pressione arteriosa, oppure il valore di colesterolo: moderni mercanti della salute vanno letteralmente a caccia di persone per trasformarli in pazienti.

I fattori di rischio sono fissati di proposito in modo che ognuno di noi possa risultare affetto da qualche malattia o da qualche disturbo. Ad esempio, la paura della malattia chiamata IPERCOLESTEROLEMIA, nel giro di breve tempo è diventata una delle preoccupazioni più diffuse per chi teme per la propria salute.

La diffusione di questa paura ha fruttato lauti guadagni all’industria, dal momento che si spende di più per i farmaci anticolesterolo che per ogni altro genere di medicinale con obbligo di ricetta medica.

Nel loro insieme, questi farmaci generano introiti per più di 25 miliardi di dollari l’anno per i loro produttori, che includono i maggiori nomi dell’industria mondiale, quali la tedesca Bayer, l’anglo-svedese Astra-Zeneca, l’americana Pfeizer.

La misurazione dei tassi di colesterolo è un passatempo molto diffuso, che viene sempre incoraggiato. Su qualche opuscolo distribuito in farmacia si legge:” A partire dal trentesimo anno d’età, ognuno di noi dovrebbe conoscere il proprio tasso di colesterolo e farlo controllare ogni due anni”. Il colesterolo sarebbe una bomba ad orologeria per la salute.

Eppure il colesterolo è un componente molto importante del nostro organismo. Contrariamente a quanto creduto da molti il colesterolo in sé non è un nemico mortale, bensì un elemento indispensabile per la vita. Il cervello ad esempio ne ha bisogno in grande quantità. Esso infatti è costituito da colesterolo per il 20% circa. Tuttavia molte persone, appena sentono la parola colesterolo, temono seriamente di dover morire per un attacco cardiaco. L’incubo del colesterolo fa andare di traverso a molti una buona frittata, o una saporita salsiccia.

Se da una parte è provato che per molte persone un elevato livello di colesterolo nel sangue si associa ad un aumentato rischio di ictus cerebrale ed attacchi cardiaci, tuttavia nel caso di persone per il resto sane non si sa con certezza di quanto quel livello di colesterolo elevato possa aumentare il rischio di disturbi cardiaci, né per quante persone questo possa costituire davvero un problema. Quello che è certo è che avere il colesterolo alto è solo uno dei tanti fattori che influiscono sulle probabilità di sviluppare problemi cardiaci.

Tuttavia attira una fetta così ampia di attenzione perché si può agire su di esso con dei farmaci, farmaci che vantano investimenti promozionali da fare invidia a certe marche di bibite. Un comitato dell’associazione americana di cardiologia dice che occorre controllare regolarmente la colesterolemia già nei bambini di 5 anni, e che è opportuno controllare la pressione sanguigna a partire dai 3 anni di età. Va detto tuttavia che dai test eseguiti a quella età non è possibile sapere quali saranno le condizioni di salute da adulti. Se si seguissero alla lettera questi consigli non si dovrebbero neppure nutrire i neonati con latte materno, una vera e propria bomba di colesterolo. Ma in realtà sono proprio i bambini allattati al seno quelli che saranno più sani. E la cosa non deve stupire, visto che il cervello e le cellule nervose necessitano, per strutturarsi, della grande quantità di colesterolo presente nel latte materno.

I farmaci per abbassare il colesterolo, le statine, possono essere utili nel caso di persone che abbiano già avuto disturbi cardiaci, mentre per la maggioranza delle persone sane esistono modi più sicuri, efficaci ed economici per mantenersi in salute, come migliorare la dieta, adottare uno stile di vita più sano, fare attività fisica, smettere di fumare. Il consumo di questi farmaci è salito alle stelle perché il numero di persone affette da ipercolestrolemia è cresciuto in maniera esorbitante. Come per molte altre malattie, la definizione di colesterolo alto viene periodicamente rivista, e come per altre malattie tale definizione è stata ampliata in modo da classificare come malate un numero sempre maggiore di persone sane. Con il trascorrere del tempo i confini che delimitano le malattie piano piano si allargano ed i bacini di potenziali clienti si espandono costantemente. A volte l’incremento è improvviso ed eclatante. Quando alcuni anni fa negli Stati Uniti una commissione di esperti ha riformulato le definizioni, ha abbassato i livelli di colesterolo ritenuti necessari per autorizzare una cura medica, sostanzialmente classificando come malate milioni di persone sane e triplicando virtualmente da un giorno all’altro il numero di persone che potevano essere fatte oggetto di una terapia farmacologica.

Secondo le direttive ufficiali sul colesterolo dei National Istitutes of Health avrebbero avuto bisogno di essere curati con le Statine

Negli anni 90 ——————-13 milioni di americani

Dopo le nuove direttive elaborate da un Comitato di Esperti

Nel 2001————————-36 milioni di americani

Dopo le nuove direttive elaborate da un Comitato di Esperti

Nel 2004————————-40 milioni di americani

Questo è avvenuto riformulando le direttive sull’uso del farmaco

si avvera così il sogno di Gadsden di vendere medicine a tutti. 5 dei 14 autori di questa nuova definizione ampliata, compreso il presidente della commissione, avevano legami finanziari con i produttori di statine. 2004. 8 dei 9 esperti lavorano come consulenti, relatori, ricercatori delle case farmaceutiche. Nella maggior parte dei casi gli autori delle direttive avevano legami molteplici con almeno 4 società, 1 esperto era stipendiato da 10 di loro. Tali legami non vennero menzionati nella versione data alle stampe delle direttive sul colesterolo, il conflitto di interesse non venne svelato.

Ampliare le definizioni delle malattie ci espone tutti quanti al pericolo di diventare pazienti senza essere malati. Il messaggio che assumere farmaci per abbassare il colesterolo diminuisca le probabilità di una morte prematura è stato alla base di una attività di promozione e di marketing, anche nei paesi, come il nostro in cui è ancora vietata la pubblicità diretta dei farmaci. Non è mettendo le statine nell’acqua potabile (Chissà quale grande manager lo sogna) che si combatte un fattore di rischio, perché il problema è trovare modi efficaci per ridurre i disturbi cardiaci, l’ictus, l’infarto, NON I LIVELLI DI COLESTEROLO. Esercizio fisico, consumo regolare di frutta e verdura, stili di vita con ritmi normali producono molti più benefici per la salute di quanto possa fare una pillola al giorno…

Di non-malattie ne esistono tante altre. Vi cito qualche esempio dalla mia esperienza di pediatra. È frequente il caso di bambini che nascono con un piedino rivolto verso l’interno, il cosiddetto piede varo. Molti ortopedici cercano di curare questo atteggiamento con massaggi, fasciature, ingessature. Alcuni ricorrono addirittura ad interventi chirurgici. Ma alcuni ricercatori americani hanno scoperto che nel 96% dei casi il piede varo scompare da solo entro il terzo anno di età del bambino.

Il piede varo non è l’unico disturbo che scompare col tempo e che ciononostante ci si dà un gran daffare per curare. Alcuni ragazzi, a differenza dei loro coetanei, camminano con i piedi rivolti all’interno, in dentro. Vi sono medici che hanno pensato che la pressione a cui erano sottoposte le articolazioni delle anche di questi ragazzi fosse troppo forte, e che hanno immediatamente trovato un nome pomposo per questa non-malattia: malformazione preartrosica. Tale malformazione avrebbe sicuramente prodotta nel tempo un’artrosi, una modificazione patologica delle articolazioni. Per evitare un inconveniente del genere, verso la fine degli anni 60 i medici hanno iniziato a fare radiografie al femore, ed in alcuni casi sono intervenuti chirurgicamente. Asserivano che grazie all’intervento, il femore avrebbe potuto assumere una posizione più corretta rispetto all’articolazione dell’anca. Solo dopo 10 anni si sono cominciate a sentire le prime voci discordanti. Alla fine degli anni 70 si è scoperto che in quasi tutti i casi persi in esame la malformazione perartrosica scompariva completamente con la crescita del ragazzo.

Tra le più note non malattia, ricordiamo poi l’ingrossamento delle tonsille…..il numero delle presunte malattie è cresciuto fino a 40.000 tipi diversi, ed ogni giorno se ne aggiungono di nuovi. La più praticata è usare il latte artificiale per nutrire i nostri bambini. Mentre solo il 5% delle mamma ha motivi fisici che impediscono di allattare al seno il proprio bimbo, nella pratica poco più di 1/3 delle mamme riesce ad allattare in maniera esclusiva per 6 mesi, come suggerisce l’OMS.

4—sintomi rari vengono spacciati per malattie che colpiscono molta gente

Prendiamo l’esempio della disfunzione erettile. Da quando è stata introdotto sul mercato il Viagra, la pillola che accresce la potenza sessuale, tra gli uomini si è sorprendentemente diffusa l’impotenza. La pfizer dichiara:” le disfunzioni dell’erezione sono un disturbo frequente e da prendere sul serio: ne è affetto circa il 50% degli uomini tra i 40 ed i 70 anni di età, vale a dire 1 su 2.

Per una campagna pubblicitaria niente sarebbe più controproducente di un uomo anziano ed impotente. Non è il caso di Edson Arantes do Nascimiento, detto Pelè, che si presenta come un uomo decisamente dotato di sex appeal. Pur avendo passato i 60 anni, l’ex calciatore brasiliano ha ancora un fisico snello, veste con eleganza ed ha ancora avventure galanti, cosa che fa accrescere molto la sua credibilità. Dal 2002 infatti Pelè dai cartelloni pubblicitari richiama l’attenzione di tutti su un disturbo di cui non si parla volentieri. “Disturbi dell’erezione. Ne parli con il suo medico. Io lo farei”.

La campagna pubblicitaria, per la quale sembra che Pelè abbia ricevuto una somma a 6 cifre di dollari dalla Pfizer, è interessante per 2 ragioni.

Da un lato l’arzillo calciatore in pensione, per sua stessa ammissione, non ha problemi di sorta per quanto riguarda la sua potenza sessuale. Dall’altro lato stupisce che Pelé non nomini mai il Viagra.

Proprio per questo motivo la sua campagna informativa sull’impotenza maschile è un ottimo esempio di quella che è la trovata più recente nei marketing dei prodotti farmaceutici. Non si reclamizzano i farmaci, ma si fa pubblicità alle malattie.

Le imprese farmaceutiche sarebbero ben felici di far conoscere al pubblico le loro pillole senza alcun intermediario, proponendone quindi l’acquisto direttamente al consumatore. Questo però, almeno nei paesi dell’unione europea, non è per ora consentito per i farmaci che devono essere venduti dietro presentazione di ricetta medica. E’ per aggirare questo ostacolo che sono nate le campagne di disease-awareness, che hanno lo scopo di far nascere nella gente la consapevolezza che certe malattie esistono davvero, e sono organizzate con l’intento recondito di vendere in un secondo tempo i farmaci e le terapie per curare quelle malattie al maggior numero possibile di persone. Questa forma indiretta di pubblicità dei medicinali è sempre più usata dall’industrie del settore farmaceutico, tanto che l’esperto di marketing Chris Ross dice che “il 2001 ha visto un numero crescente di case farmaceutiche che hanno scelto di promuovere iniziative per l’educazione dei consumatori. Il paziente informato diventa ben presto il centro delle strategie di marketing delle grosse industrie farmaceutiche”.

5—sintomi lievi vengono spacciati per prodromi di malattie gravi

prendiamo il caso della sindrome del colon irritabile. Il fenomeno è collegato ad una quantità di sintomi che ognuno di noi ha avvertito in più occasioni e che molti considerano normali: gorgoglii intestinali, dolori, diarrea, flatulenza.

Una percentuale che va dal 60 al 70% della popolazione ammette di essere affetta da uno o più sintomi che figurano nell’elenco dei criteri diagnostici, tanto che potrebbe essere considerato quasi non normale dichiarare di non avere disfunzioni in questo campo. Pur essendo poco conosciuta, questa sindrome si diceva colpisse fino ad 1 persona su 5 nel mondo occidentale.

Certo, per alcune persone può essere un male acuto e debilitante, ma sostenere che il 20% della popolazione dei paesi occidentali ne soffre rientra nelle strategie di marketing dell’industria. I fatti contano poco per questi signori: quello che conta sono i messaggi che pervadono le campagne promozionali. E solo raramente l’opinione pubblica viene a conoscenza di quello che succede negli ambienti poco trasparenti dell’industria farmaceutica. Quindi è quanto mai istruttivo il documento riservato che il British Medical Journal ha pubblicato nell’aprile 2002 : si tratta di un piano strategico segreto dell’agenzia di pubbliche relazioni In Vivo Communication (Australia).

Stando al piano suddetto, un programma di educazione sanitaria della durata di 3 anni avrebbe dovuto liberare il colon irritabile dalla nomea di disturbo psicosomatico e presentarlo come una vera e propria malattia credibile e frequente.

“la sindrome del colon irritabile deve essere fatta entrare nella testa dei medici come uno stato patologico significativo a sé stante. Anche i pazienti devono essere convinti che la sindrome del colon irritabile è un disturbo riconosciuto e molto diffuso.” La cosa più importante di tutte era persuadere medici e pazienti che il LOTRONEX era una cura efficace contro la sindrome, un farmaco che, come era stato dimostrato, migliorava la qualità della vita. Nel mondo fantastico del marketing travestito da informazione il farmaco era una cura dimostrata ed efficace, laddove, nel mondo reale della medicina, per molte persone funzionava appena, e per poche persone poteva essere mortale.

La storia dell’immissione in commercio di questo farmaco, il suo ritiro e la nuova successiva autorizzazione a dose dimezzata è significativa di come anche organismi di controllo prestigiosi, la FDA americana, siano oggi sotto scacco in mano alla potente industria del farmaco.

Il lotronex era stato commercializzato per curare la sindrome dell’intestino irritabile dalla Glaxo Smith Kline.

Paul Stolley è un esperto di sicurezza in farmaci della FDA statunitense, cioè di quell’organismo che ha il compito di garantire la sicurezza e l’efficacia dei medicinali. Le decisioni di questo ente determinano quali farmaci vengono autorizzati alla vendita e quali no sul ricco mercato statunitense, ed il suo operato influenza quello degli enti di vigilanza dei sistemi sanitari del mondo intero. Il dott. Stolley, esaminando il fascicolo dedicato al Lotronex, propose ai suoi superiori di considerare il ritiro del farmaco dal mercato, a causa di gravi timori riguardo la sua sicurezza: erano numerose le segnalazioni di eventi avversi importanti, quali una costipazione acuta ( le feci di alcune persone che avevano assunto il farmaco divenivano così compresse all’interno dell’intestino da causare la perforazione della parete intestinale generando infezioni potenzialmente fatali), o una colite ischemica ( che è come un infarto che si verifica all’intestino: il sangue smette di affluire ed i tessuti muoiono, e con essi anche il paziente).

Leggendo le segnalazioni inviate all’FDA ed esaminano i dati scientifici dei test clinici compiuti in origine sul farmaco, S. stava giungendo ad una conclusione inquietante: i reali benefici del medicinale erano in media inesistenti o molto modesti, mentre i suoi effetti collaterali potevano essere fatali.

Il lotronex era solo l’ultimo di una serie di farmaci campioni di incassi massicciamente pubblicizzati che erano stati autorizzati dall’FDA e che in seguito si era scoperto che causavano gravi danni, ed a volte anche la morte. Oltre a Stooley, anche altri studi scientifici rivelavano come il farmaco fosse solo poco più efficace del placebo nel curare i sintomi dei pazienti, causando però ad alcuni orribili effetti collaterali. Da qui la richiesta di ritiro del farmaco dal mercato.

La FDA rifiutò la sospensione della commercializzazione ma, stante un aumento delle segnalazioni di reazioni gravi, i funzionari della GSK si incontrarono con alcuni dipendenti della FDA per parlare del farmaco. Fatto estremamente significativo, agli scienziati che stavano seguendo le segnalazioni degli effetti collaterali del Lotronex non fu consentito di presentare i loro dati alla riunione. Tre giorni più tardi S con altri tre collaboratori formularono un incisivo comunicato interno sostenendo che le soluzioni suggerite dalla casa farmaceutica per far fronte ai rischi non erano adeguate ad arrestare i decessi sempre più numerosi, e che il Lotronex doveva essere ritirato dal mercato. A una nuova riunione, 2 settimane dopo, i funzionari della GSK si scagliarono con veemenza contro quel comunicato interno, mentre i dirigenti della FDA ascoltavano i silenzio, senza difendere l’operato dei loro funzionari. Ormai S si era convinto che la lentezza dell’ente di vigilanza nel prendere provvedimenti contro il L. fosse direttamente collegata alla volontà di alcuni funzionari di alto livello di non offendere i desideri dell’industria farmaceutica, da cui, dopo tutto, provenivano metà dei finanziamenti dell’ente. Il messaggio lanciato era chiaro:”noi non discutiamo con le case farmaceutiche, ascoltiamo i loro travisamenti e loro omissioni di prove e non facciamo niente a riguardo”.

Di fronte alle crescenti prove di effetti collaterali pericolosi, ai servizi negativi nei media, ed ad un ente di vigilanza incapace di definire una linea di azione la casa farmaceutica decise di ritirare volontariamente il medicinale dal mercato.

Ma come Lazzaro che resuscita dai morti, il Latronex sarebbe stato riautorizzato 18 mesi più tardi, nonostante i modesti benefici e gli effetti collaterali potenzialmente mortali.

Ho raccontato questa storia per trarne alcune conclusioni.

L’industria farmaceutica non solo prospera, ma ingrassa molto più in fretta delle altre industrie. Se scorrete la classifica delle 500 grandi aziende censite da Fortune, vedete che le aziende farmaceutiche, nel 2003, hanno realizzato profitti pari, in media, al 15,5 per cento del fatturato. Per gli altri settori, la media è del 3,5 per cento sulle vendite.

Insomma, Big Pharma è una gallina dalle uova d’oro, che fa soldi cinque volte più in fretta degli altri settori. A spiegarlo, non basta il fatto che i consumi per la salute crescano più velocemente di tutti gli altri. Gli uomini dell’industria additano, con orgoglio, le spese per la ricerca: il 14 per cento del fatturato, molto più degli altri settori. I loro critici, invece, puntano sull’enorme capitolo dei bilanci che porta l’intestazione “marketing e amministrazione”, dove la voce più importante è l’esercito dei piazzisti (100 mila negli Usa) che gira per gli studi medici: 34 per cento del fatturato.

Occorrono organismi di controllo indipendenti, forti, autorevoli. Ma la fonte di finanziamento dell’FDA negli ultimi anni ha subito sostanziali mutamenti. Più del 50% del lavoro del controllo della sicurezza ed efficacia dei farmaci è pagato dalle medesime case farmaceutiche i cui prodotti vengono controllati.

Sulla base della scarsa trasparenza dei test di ricerca e verifica, emergono segnali di collusione fra controllori e controllati, con i secondi – che, di fatto, finanziano i primi, attraverso le tariffe pagate per chiedere il via alle vendite.

“Troppo spesso la Food and Drug Administration ha visto e continua a vedere l’industria farmaceutica come il suo cliente – una fonte vitale di finanziamento – e non come un settore della società che ha bisogno di una forte supervisione” ha scritto Richard Horton, direttore della prestigiosa rivista medica The Lancet.

In un sondaggio interno del 2002, uno scienziato su cinque della Fda dichiarava di aver ricevuto pressioni dall’alto per autorizzare un medicinale, nonostante riserve sulla sua sicurezza ed efficacia. Ma è l’intero sistema che sembra disegnato soprattutto per difendere la profittabilità delle aziende.

“La ricerca medica scientifica è in vendita?” si domandava Marcia Angell, allora direttrice del New England Journal of Medicine in un editoriale del maggio 2000. “No”, fu la cinica risposta. “Il suo attuale proprietario ne è molto soddisfatto”.

COSA POSSIAMO FARE?

L’entità dell’influenza che l’industria farmaceutica esercita sul sistema sanitario è semplicemente degna di Orwell, è un vero Grande Fratello.

I medici, i rappresentanti farmaceutici, la formazione professionale dei medici, gli annunci pubblicitari, le associazioni dei pazienti, le direttive ufficiali, i personaggi celebri, i congressi, le campagne di sensibilizzazione, i membri degli enti di vigilanza: a tutti i livelli il denaro delle case farmaceutiche muove questo sistema.

La sua strategia mira a generare un’opinione favorevole riguardo ai farmaci più nuovi e costosi e ad ampliare i mercati di questi prodotti, definendo nuove malattie sempre molto diffuse, gravi, e curabili con nuovi farmaci. Chi dovrebbe porre delle regole in questo scompiglio? Gli enti pubblici, che a loro volta dipendono proprio da quell’industria farmaceutica per gran parte dei loro finanziamenti.

A questa logica non si sottraggono nemmeno le vaccinazioni pediatriche.

Non c’è bisogno essere dei grandi scienziati per avere dubbi sul fatto che praticare ad un lattante 28 vaccinazioni nei primi 15 mesi di vita può influire in maniera permanente e definitiva sulla salute del bambino.

C’è bisogno di persone di buon senso per avere dei dubbi sulla utilità della vaccinazione antiepatite b ad un lattante di 3 mesi.

C’è bisogno di informazioni imparziali sul rapporto rischio/beneficio delle vaccinazioni.

C’è bisogno di genitori che vogliono decidere liberamente se vaccinare o meno i propri figli per tutelare la loro salute.

C’è bisogno di nuovi modi di definire le malattie.

C’è bisogno di informare la gente sulle possibili cure.

C’è bisogno di riportare al centro di questo sistema gli interessi del malato, dei bambini, della gente.

Bibliografia

Angell Marcia: Farma&co Industria farmaceutica: storie straordinarie di ordinaria corruzione.Il Saggiatore

Benatti C, Ambrosi F, Rosa C: Vaccinazioni tra scienza e propaganda Il leone verde

Blech Jorg: Gli inventori delle malattia. Lindau

Gava R: Le vaccinazioni pediatriche. Salus infirmorum

Moynihan R, Cassels A: Farmaci che ammalano. Nuovi Mondi Media.

Shah Sonia: Cacciatori di corpi. Nuovi Mondi Media.
www.giulemanidaibambini.org