la pandemia del XXI secolo

Riceviamo e pubblichiamo volentieri questo articolo di Eugenio Serravalle  medico pediatra (medico con la M maiuscola)

LA PRIMA PANDEMIA DEL XXI SECOLO

Responsabile un virus influenzale (A/H1N1) nato da un triplice
riassortimento aviario, suino e umano, che dal Messico si è diffuso in
quasi tutto il mondo. Inizialmente è stato chiamato “virus
dell’influenza suina” poiché pare che il riassortimento virale sia
avvenuto negli enormi allevamenti intensivi di maiali. Poi il virus ha
iniziato a trasmettersi tra gli esseri umani, viaggiando velocemente,
favorito dai voli aerei transcontinentali. Se altri microrganismi hanno
avuto bisogno di almeno sei mesi per diffondersi in tutto il mondo, la
nuova influenza si è propagata in poche settimane. Le immagini del
contagio rimbalzano su tutti i telegiornali, aumenta la paura, si
diffonde ancor più velocemente il panico, gli spettri delle pandemia
precedenti sono sempre evocati. Virus letali: in quanti film
catastrofisti sono i protagonisti indiscussi?

Si confondono, come sempre, trattando temi che riguardano la salute e
quindi la vita delle persone, affermazioni ed opinioni con dati
scientifici e risultati di ricerche cliniche.

Sono ancora molte le domande aperte su questo nuovo virus influenzale,
sulla sua origine (perché è iniziato in Messico?), sulla sua evoluzione
(ci sono microrganismi associati che circolano contemporaneamente? quali
sono i gruppi di età più colpiti?), sulla nostra capacità di affrontarlo
(cosa c’è di insolito in questa epidemia?) e soprattutto di chiederci,
onestamente, quanto hanno influito sulla sua comparsa elementi
incontrollabili e quanto condizioni create dall’uomo.

Maiali che vivono e vengono macellati in allevamenti intensivi sono
soggetti ad una serie di malattie che rendono indispensabile l’uso
massivo di farmaci ed antibiotici, con grave danno del loro (e di
conseguenza del nostro) sistema immunitario. “Siamo quel che mangiamo”,
ma siamo anche quel che mangia quello che mangiamo noi.

Altre ipotesi sull’origine e sulla diffusione della malattia parlano di
un errore umano verificatosi in laboratori di ricerca e di studio dei
virus. Questo è quanto sostiene Adrian Gibbs, virologo australiano, uno
dei “padri” dell’antivirale oseltamivir (farmaco anti-influenza più noto
con il nome Tamiflu), in una comunicazione inviata all’Organizzazione
Mondiale della Sanità (Oms) e ai Centri statunitensi per il controllo
delle malattie (Cdc). Già nel 1977 un virus influenzale del tipo H1N1
venne prodotto per errore in seguito alla cattiva gestione di un
laboratorio in Russia.

A queste domande giornali e televisioni non cercano risposte:
l’informazione, che è linfa vitale della democrazia, esalta così non il
racconto del fatto – cioè la sua origine, il suo sviluppo, l’accadere –

ma solo gli aspetti che più di altri colpiscono l’emotività: a grossi
caratteri si parla di pandemia.

La definizione di pandemia, in realtà, non comporta un criterio di
gravità, anche se il termine evoca subito “la spagnola” con il suo
carico di morti. E’ usato per segnalare un criterio di diffusione:
quando la diffusione di un virus è sostenuta e persistente in più
continenti. «Pandemico significa globale, ma non ha connotazioni di
gravità», ha puntualizzato il portavoce dell’Oms, Gregory Hartl, ma il
seme della paura germoglia. Il grande numero di decessi segnalati
inizialmente in Messico, è stato ridimensionato anche se la situazione
epidemiologica di quel territorio rimane poco nota. Il virus, è vero,
circola rapidamente, ma si presenta con sintomi lievi, come nelle banali
sindromi virali, con facile guarigione spontanea. Eppure ogni giorno
apprendiamo che qualche nuovo caso è segnalato in qualche città o paese
a noi vicino. Se questa accuratezza di diagnosi eziologica (cioè
l’identificazione precisa dei virus in tutte le patologie di lieve
entità) fosse estesa a tutte le malattie, la medicina moderna farebbe
enormi progressi.

L’indice di mortalità della “nuova influenza” è veramente basso: meno
dell’ 1 per cento. Molto inferiore al tasso di decessi per l’ influenza
stagionale, che varia tra il 5 e il 15 per cento. Durante le epidemie
influenzali, quando normalmente non ci si preoccupa di eseguire diagnosi
di laboratorio per identificare il virus, la morte per influenza di un
anziano o di una persona con patologia cronica (una cardiopatia, una
bronchite cronica, ad esempio) viene attribuita in genere alle
complicanze di queste patologie, e non all’influenza stagionale. Cosa
che non succede quando si formula la diagnosi di nuova influenza: in
questo caso, la responsabilità del decesso è generalmente riferito al
virus. Eppure, nonostante questo artificio statistico, la malattia non
risulta particolarmente aggressiva. Al contrario dell’influenza aviaria,
che avrebbe dimostrato un tasso di mortalità di circa il 40 per cento,
ma che, generalmente, non si trasmette da uomo a uomo.

In realtà è verosimile che il numero dei casi reali della nuova
influenza sia fortemente sottostimato, dal momento che i sintomi sono
così aspecifici e a volte anche molto lievi. Ciò rende ancora più
difficile valutare la reale proporzione delle complicazioni e dei decessi.

Tanta preoccupazione per una malattia molto contagiosa, ma estremamente
benigna. Questo virus H1N1 è caratterizzato da una particolare forma
della proteina di superficie, che si lega male ai recettori presenti nel
tratto respiratorio umano, secondo i ricercatori dei /Centers for
Disease Control and Prevention/ (Cdc) Usa. “Il virus è capace di legarsi
ai recettori umani, ma chiaramente è limitato”, ha affermato Ram
Sasisekharan, direttore della divisione Scienze della salute e
tecnologia del Massachusetts Institute of Technology (Mit). Questo
legame limitato, debole, insieme a una piccola variazione genetica in un
enzima dell’H1N1, spiega perché il virus non si diffonde con la stessa
efficacia dell’influenza stagionale. I ricercatori hanno poi scoperto
una seconda mutazione che ostacola l’abilità dell’H1N1 di trasmettersi
rapidamente. In pratica, il nuovo ceppo del virus non presenta la
versione del gene PB2 cruciale per una rapida diffusione nell’uomo.

Tanti governi – compreso il nostro – hanno annunciato la disponibilit�
di scorte di antivirali ai quali il virus è risultato suscettibile
(Oseltemivir, Tamiflu e Zanamivir, Relenza) veicolando un messaggio
indiretto di protezione certa. Ma la suscettibilità riscontrata in vitro
è cosa diversa dall’efficacia clinica, non brillante neppure verso
l’influenza stagionale, che andrà verificata sul campo. Basterebbe una
singola mutazione per portare a un’inefficiente interazione del
microrganismo con l’oseltamivir (Tamiflu), il farmaco usato per curare i
pazienti,e potrebbero così emergere facilmente ceppi resistenti al
Tamiflu. Inoltre l’ uso esteso e indiscriminato degli antivirali
potrebbe favorire l’insorgere di resistenze, come già riscontrato. L’uso
degli antivirali è stato esteso recentemente anche ai bambini sotto
l’anno di età e nelle donne gravide in base a una valutazione teorica di
maggior beneficio rispetto al rischio. Ma questo andrebbe verificato,
anche alla luce delle numerose e gravi reazioni avverse segnalate in
bambini giapponesi dopo la somministrazione del farmaco. In un report
del BPCA ( Best Pharmaceuticals for Children Act ) sono state riportati
eventi neurologici e psichiatrici, come delirio, allucinazioni,
confusione, comportamento anormale, convulsioni ed encefalite. In 12
pazienti pediatrici l’esito è stato fatale. E’ vero che in molti di
questi casi, una relazione tra impiego di Tamiflu e morte era difficile
da valutare a causa dell’assunzione di altri farmaci, della presenza di
altre patologie e/o per la mancanza di approfondite informazioni nella
segnalazione, ma è certo che non è prudente per tutti i bambini assumere
questo farmaco (che va somministrato entro 48 ore dalla comparsa dei
primi sintomi) senza ulteriori dati di sicurezza, per una patologia che
si risolve in genere spontaneamente.

Intanto la corsa al vaccino è cominciata. Il ceppo «madre» del virus
della nuova influenza A/H1N1 è finalmente arrivato nei laboratori delle
aziende farmaceutiche: per settembre-ottobre saranno pronti sia il
vaccino antipandemico, sia il vaccino contro l’ influenza stagionale.

Ma siamo proprio sicuri che sarà efficace?

L’assoluta novità del virus e il possibile utilizzo di nuove tecnologie,
fanno sì che la reale efficacia e sicurezza del vaccino si potranno
conoscere solo dopo l’introduzione su larga scala. Fino ad allora è
tutto un tirare ad indovinare. Eppure i vaccini godono ancora di questo
privilegio: sono considerati uno strumento salvifico, a prescindere,
prima della dimostrazione clinica.

Conviene allora ricordare che, per il vaccino contro l’influenza
stagionale, importanti studi scientifici hanno affermato che
“L’efficacia del vaccino nei bambini, così come negli anziani, è
risultata incerta, quando non addirittura assente”. Non c’è ragione di
vaccinare i bambini sani. Innanzitutto, perché non sappiamo se e quanto
funzioni la vaccinazione per l’influenza nel bambino, come è stato
confermato da uno studio pubblicato sugli Archives Of Pediatrics And
Adolescent sugli esiti della vaccinazione nei bambini con meno di 5
anni. E non bisogna scambiare per influenza le numerose patologie virali
che possono interessare i bambini durante l’autunno e l’inverno. C’è
molta confusione a proposito: i classici sintomi del raffreddore, mal di
gola e febbre che mettono a letto grandi e piccoli non sono sempre
riconducibili al virus dell’influenza ma, nella maggior parte dei casi,
ad altri virus e patogeni. Si parla in questi casi, di sindrome simil
influenzale. Si stima che siano positivi al virus dell’influenza solo
tre adulti su dieci e un bambino su dieci che presentano i sintomi
simili all’influenza. E sulle forme simil-influenzali l’efficacia della
vaccinazione è ovviamente zero.

E la sicurezza? Abbiamo la certezza che il rapporto rischio/beneficio
sia favorevole?

Un’epidemia influenzale si verificò nel 1977 in un campo militare del
New Jersey causando 500 malati e la morte di un giovane soldato. Anche
allora si sostenne che l’epidemia che si stava verificando era dovuta a
un virus molto simile a quello della famigerata ‘spagnola’. La paura di
un ritorno di quel flagello sfociò nell’annuncio del presidente Ford che
il Governo federale americano avrebbe stanziato 135 milioni di dollari
per la messa a punto di un vaccino con il quale l’intera popolazione
statunitense avrebbe potuto essere protetta. Ma l’alta frequenza di
reazioni avverse gravi alla vaccinazione, come la sindrome di Guillain
Barré , causò la sospensione del programma vaccinale, per il timore
dell’industria farmaceutica di pagare ingenti risarcimenti per i danni
provocati ai soggetti sottoposti alla vaccinazione.

L’ultima considerazione che leggiamo in questi giorni è legata alla
diminuzione della produttività se in tante, troppe persone saranno messe
a letto dalla nuova influenza. Io credo di svolgere un lavoro utile (non
mi considero indispensabile), che svolgo con passione. Ma non per questo
rinuncerò al diritto, se febbre e tosse avranno il sopravvento, di stare
cinque giorni a letto, in attesa della guarigione. Per cercare di non
ammalarmi terrò presenti quegli interventi di provata efficacia nel
prevenire la diffusione di tutte le infezioni respiratorie, che, ahimè,
non sono farmacologici, e, forse per questo, non vengono mai ricordati.

Le misure igieniche che vanno caldamente consigliate sono:

– lavarsi spesso e accuratamente le mani con acqua e sapone;

– coprire la bocca e il naso quando si tossisce o si starnutisce (e dopo
lavarsi le mani);

– evitare di toccarsi occhi, naso e bocca, facili vie di entrata del virus;

– chi sta male deve rimanere in casa, e non andare a scuola o al lavoro;

– evitare luoghi affollati dove ci sono casi di malattia.

L’uso della mascherina è risultato efficace negli ambienti di assistenza
sanitaria, mentre per altre circostanze l’efficacia non è stata stabilita.